Trezza, così veniva chiamata l’odierna Aci Trezza. Detta “A Trizza” dai siciliani, è una frazione del comune di Aci Castello, ubicato lungo la costa della Sicilia orientale, vicino Catania. Questo luogo caratteristico è stato, nel corso della storia, un rinomato borgo di pescatori.
Il panorama di cui si gode da Acitrezza è caratterizzato dal Mar Ionio; dai cosiddetti Faraglioni dei Ciclopi, ovvero rocce basaltiche sulle quali l’acqua del mare si infrange, e dall’Isola di Lachea.
Questo splendido borgo è stato protagonista di numerose storie sin dai tempi antichi.
Di miti è stato ambientazione nell’antichità greca, miti dai quali deriva l’odierna denominazione. In un romanzo invece si racchiude la sua fama in ambito letterario: I Malavoglia, di Giovanni Verga.
La famosa casa del Nespolo, descritta dallo scrittore nella sua opera, si trova ancora oggi lì nel piccolo borgo, a due passi dal mare. Si tratta di una piccola abitazione alla quale Verga, molto probabilmente, si ispirò.
La struttura
Un portone d’ingresso, sormontato da un arco a tutto sesto in pietra, permette di entrare nel celebre cortile con l’albero del nespolo. Da qui si accede agli ambienti interni, composti da due stanze, oggi adibiti a museo. Nella seconda stanza sono conservati gli antichi arredi e gli strumenti da pesca utilizzati allora dai pescatori. Insieme a questi vi sono anche lettere che Verga scrisse al fratello Pietro, e un album fotografico contenente scatti realizzati dallo stesso scrittore, che mostrano la società del tempo.
La prima sala, invece, è dedicata al film La Terra Trema di Luchino Visconti, del 1948. Visconti produsse tale film ispirandosi al romanzo verghiano, per la sua realizzazione, infatti, coinvolse i pescatori del luogo che interpretarono il film interamente in lingua siciliana.
E cosa dire del cortile? Questo era forse la parte più importante della casa secondo il racconto del Verga. I bambini qui erano soliti giocare controllati da un adulto; le donne del vicinato vi si radunavano a fare “u curtigghiu” (il cortile), ovvero a commentare a bassa voce ciò che succedeva nel borgo; qui veniva festeggiata una buona giornata di pesca al ritorno degli uomini a casa.
Questo luogo è memoria letteraria-cinematografica ma è anche memoria di usi e costumi tipici di una terra di pescatori.
L‘isola di Lachea, che si ammira dal piccolo borgo, è stata identificata con la celebre Isola delle Capre descritta da Omero nell’odissea, famoso poema epico.
Acitrezza: il mito
È qui che secondo Omero, Ulisse e i suoi compagni approdarono in cerca di cibo.
Secondo la narrazione, l’isola era abitata esclusivamente da capre selvatiche, che si nutrivano della ricca vegetazione spontanea presente. Molte di queste capre furono uccise da Ulisse e i suoi compagni che banchettarono sulla spiaggia con le loro carni.
La vicina Aci Trezza era, secondo Omero, la Terra dei Ciclopi, poiché abitata da queste strane creature.
Lo scrittore narra infatti che Ulisse, vedendo il fumo uscire dalle caverne in cui questi dimoravano e udendo le loro voci, desideroso di conoscerli si avviò verso la Terra dei Ciclopi con la propria nave, seguito dai suoi compagni: Questo è il mito che narra la nascita della Riviera dei Ciclopi.
Giunti ad Aci Trezza, Ulisse e i suoi compagni vollero osservare da vicino i leggendari ciclopi, esseri violenti con un occhio solo che, dediti alla pastorizia, vivevano in caverne. Il gruppo però si spinse troppo oltre. Infatti, cercando di rubare del cibo, furono tutti intrappolati nella caverna del ciclope Polifemo, che imperterrito prese a mangiare i compagni di Ulisse uno ad uno.
Ulisse allora dovete giocare d’astuzia. Fece ubriacare Polifemo con del vino che aveva con sé e parlamentando con lui disse:
“Ciclope, domandi il mio nome glorioso? Ma certo, lo dirò e tu dammi il dono ospitale come hai promesso. Nessuno ho nome: Nessuno mi chiamano madre padre e tutti quanti i compagni”.
Quando Polifemo si addormentò, Ulisse e i compagni sopravvissuti lo accecarono con un palo d’ulivo, così Polifemo prese ad urlare. Gli altri ciclopi accorsero per vedere cosa stesse succedendo ma non compresero, poiché avendo chiesto a Polifemo chi gli stesse facendo del male, questo rispose Nessuno.
Ulisse e i suoi compagni si nascosero allora sotto il ventre delle pecore di Polifemo e così riuscirono a fuggire dalla caverna. Il ciclope, pieno di rabbia, prese a scagliare grandi massi in pietra lavica verso il mare, tentando di colpire la nave di Ulisse e dei suoi compagni in fuga.
Ecco perché le grandi rocce in pietra lavica che affiorano dal cristallino mare di Aci Trezza vengono denominate Faraglioni dei Ciclopi.
Da esse e dall’omerica Terra dei Ciclopi prende il nome la Riviera.
Il mito di Aci e Galatea
Altro mito di cui Aci Trezza è protagonista, è quello di Aci e Galatea, tratto dalle metamorfosi di Ovidio, un poema epico-mitologico scritto nel I sec. a.C.
Ovidio narra di due innamorati, il pastore Aci e la ninfa delle acque Galatea. I due trascorrevano spesso del tempo insieme. Un giorno il ciclope Polifemo, innamorato anche egli della giovane ninfa, la sorprese adagiata sul petto di Aci, così in preda alla gelosia scagliò contro il rivale una grande roccia di origine lavica.
Galatea pianse il suo amato, ma la roccia si aprì miracolosamente e Aci divenne un fiume che si riversava nel mare a riabbracciare per l’eternità il suo amore. È a questo mito che Aci Trezza deve il suo nome, ed insieme ad essa tutti gli altri paesi sul versante orientale dell’Etna (Aci Castello, Aci Reale, ecc.) che recano il nome del giovane pastorello.
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