30 Aprile 2024
Via Bottazzi
Magazine Musica

I dischi che hanno fatto la storia: l’intramontabile Lucio Battisti

Per la rubrica “i dischi che hanno fatto la storia della musica” oggi ci occupiamo di un’artista italiano che forse più di tutti ci ha rappresentati all’estero: Lucio Battisti

Molti sono i musicisti nostrani che hanno trovato fuori dai nostri confini grande riscontro di pubblico ma, come non molti sanno, Battisti era anche apprezzato e “corteggiato” da diversi artisti di fama mondiale. Egli fu infatti elogiato da David Bowie che addirittura si auspicava, poco prima della sua prematura dipartita, una collaborazione. Mick Ronson, chitarrista di Bowie, incise addirittura un raro 45 giri con “Io vorrei non vorrei ma se vuoi” dal titolo “Music is lethal”. Perfino gli Hollies nel ’67 si esibirono a Sanremo col suo brano “Non prego per me”. Qualche giorno dopo incideranno a Londra nell’album “Evolution” alla presenza dello stesso Battisti. 

Senza contare ancora i moltissimi brani che ha inciso in altre lingue o diffuso in diversi paesi anche oltre oceano.

Apprezzatissimo, insomma, in Italia e all’estero ha lasciato un’impronta indelebile nella musica mondiale. 

Vediamo così, dopo questa breve premessa d’obbligo, quali sono, a nostro modesto parere, i dischi più importanti della sua carriera e perché.

1- Il mio canto libero 

Il mio canto libero è un capolavoro del ‘72 baciato dalla collaborazione Mogol/Battisti. 

Sebbene non sia musicalmente quello più innovativo, per diffusione e popolarità merita di essere menzionato tra i primi. 

Il tema del disco sono i sentimenti: incomprensioni, sottotesti, sottintesi, libertà e unione. 

Indimenticabile l’immagine di copertina, firmata Cesare Montalbetti, raffigurante delle braccia alzate su sfondo bianco, mentre all’interno ritroviamo gambe e piedi nudi.

Molto attuale per il periodo storico che stiamo vivendo, i riferimenti nella canzone “La luce dell’est”, contenuta nel disco. 

Un testo romantico, composto da cinque parti, tre riguardanti il presente e due un lontano ricordo. 

Un uomo passeggia in compagnia in un bosco e ripensa ad

una donna slava, conosciuta durante un viaggio nell’Europa dell’est con la quale ha vissuto un sentimento intenso interrotto bruscamente dalla sua fuga che appare inevitabile.

Il passaggio tra i ricordi e il presente è scandito prima dal rumore di un ramo calpestato e poi dal colpo di un fucile che lo distrae dai pensieri e lo riporta all’attuale compagna che lo investe di un sentimento altrettanto forte. 

Annoverato tra le più belle frasi d’amore di sempre il ritornello:

“A te che sei il mio presente, a te la mia mente e come uccelli leggeri, fuggon tutti i miei pensieri, per lasciar solo posto al tuo viso che come un sole rosso acceso, arde per me”.

Di questo disco non possiamo non citare “Luci ah”, un testo precursore dei nostri tempi. Un grido alla libertà delle donne dagli stereotipi di genere e dal patriarcato.

Esso parla di Lucia, una ragazza libera e disinibita che vive in un piccolo paese e che un in un giorno di festa mette a soqquadro la ridente cittadina con coraggiosi atti anticonformisti.

Brucia la chiesa del paese, fa il bagno in una botte di vino, si spoglia e appende i propri vestiti sulla punta del campanile. Lega il prete, rifiuta la richiesta di matrimonio del figlio del macellaio dicendo di non essere una bistecca. Per scegliere il fidanzato è quasi arrivata a “provare” tutti gli uomini del paese. 

Nel brano la ragazza viene rimproverata  da un adulto, tuttavia traspare una certa empatia nei suoi confronti nel passaggio

“ho l’impressione che se non smetti all’inferno forse tu finirai / ma se non altro quel luogo più allegro ed umano renderai».

2- Umanamente uomo: il sogno 

In questo album del ‘72 si trovano dei grandi classici della canzone italiana.

Tra questi tutti ricorderanno senz’altro “I giardini di marzo”, uno dei brani più noti di Lucio Battisti e in generale della musica italiana. 

Testo di Mogol in chiave autobiografica, tratta l’infanzia nel dopoguerra tra povertà e difficoltà familiari, i dubbi esistenziali.

Indimenticabile anche “E penso a te”. Il racconto della tristezza del protagonista in presenza della donna con cui cerca di dimenticare il passato e l’esplosione del sentimento di nostalgia in assenza dell’amata. Magistralmente esposto tramite il gioco della contrapposizione tra un appuntamento con un’altra donna finito senza esito e il pensiero di quel che lei potrebbe star facendo in quel momento.

La copertina del disco con l’immagine di un fuoco ottenuto dall’accensione di vecchi mobili accatastati, anch’essa di Cesare Montalbetti, aveva l’intento di esprimere i “fuochi della vanità”.

-Anima Latina 

Questo disco del ‘74 rappresenta il perfetto equilibrio tra il Battisti che è stato e quello che verrà. 

Lucio Battisti si trova all’apice del successo quando decide di andare decisamente controcorrente realizzando questo album col fine di affermare la sua vera artisticità al di là dell’immagine commerciale attribuitagli fino a quel momento. 

Al suo interno troviamo tutto: pop, classica, elettronica, folk, jazz. 

Da Anima Latina non nasce nessuna hit. Un tutt’uno sonoro che si snoda in 48 minuti tra spazi siderali e percussioni latine dove la voce di Lucio sommersa dagli strumenti sembra provenire da un’altra realtà. 

Il tema verte sulla gelosia e sulla possessività in contrapposizione alla volontà di rivendicare la libertà dell’individuo, a costo di fare soffrire l’altro. 

Il disco non gode assolutamente della stessa popolarità dei suoi più grandi successi. Tuttavia è considerato uno dei migliori album nella storia della musica italiana. Il disco più ambizioso di Battisti, complesso e sfaccettato nonché un originale tentativo di fusione tra le sonorità latine e il progressive.

https://youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_mt1zLI990LXMT59VZG_vZUfGKpdx07HBo

Bellissima la copertina, anch’essa di Cesare Montalbetti, raffigurante una schiera di bambini attorno alla figura di una donna florida e malinconica che con stoviglie e trombette mettono in scena un baccanale: l’anima latina.

-Il nostro caro angelo

In questo disco del ‘73, caratterizzato ancora dalla collaborazione con Mogol, i testi mirano a sottolineare le contraddizioni dei sentimenti amorosi, esprimono stanchezza, l’incoerenza delle relazioni. 

Musicalmente si evidenzia una svolta marcata verso il rock con un uso più ampio della chitarra elettrica.

Tra i brani presenti al suo interno è bene ricordare “Ma è un canto brasileiro”, la forte critica al consumismo del mondo occidentale e all’alienante violenza psicologica della pubblicità. 

Il protagonista della storia è fidanzato con un’attrice pubblicitaria ed elenca alcuni degli spot pubblicitari a cui la compagna ha partecipato facendo molti riferimenti all’attualità dell’epoca creando l’opportunità di accusare l’industria pubblicitaria. In largo anticipo sui tempi viene denunciato il cattivo gusto degli annunci, lo sfruttamento del corpo femminile, la diffusione della disinformazione, la pubblicità che non si fa scrupolo nemmeno di reclamizzare prodotti pericolosi per l’ambiente e la salute. In questo senso Battisti e Mogol si pongono ancora una volta come precursori di battaglie che ancora oggi ci ritroviamo nostro malgrado a combattere.

Curiosità: l’incisione del disco per pura coincidenza corrispose con la nascita del primo e unico figlio di Lucio Battisti, così si suppose che il nome dell’album si riferisse al “Nostro caro figlio” ma, in realtà, il testo del brano “Il nostro caro angelo” ha un significato critico nei confronti della Chiesa cattolica.

Anche la copertina del disco, che venne considerata all’epoca eccentrica è scandalosa, aveva l’intento di sensibilizzare all’ecologia e alla salvaguardia delle tradizioni culturali sacrificate al/eliminate dal consumismo.

A cura di Roberta Bianca

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